L’élite della società umana continua a deviare dalle origini biologiche dell’umanità.

Un uomo cerca una strada alternativa.

La sua scelta ne farà un traditore o un salvatore?

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Estratto di:

RONIN

Novella dei conquistatori di K’Tara

Parte 1

di L.A. Di Paolo

Tradotto da Paolo Pilati

   

    Ronin quel giorno aveva deciso di scendere nelle pianure e di andarci per i fatti suoi, ignorando i consigli di tutti, compresi quelli del suo digicompagno e quelli del suo amico Canyon, anche se i due avevano motivi diversi per tentare di dissuaderlo dal suo piano. Si sarebbe recato nella vecchia, o — come molti direbbero — decrepita, città di Boulder, dove gli era giunta voce che si potessero trovare due cose che desiderava da molto tempo: provare un po’ di veracarne e farsi amica una femmina tuttumana — seppur non avesse idea di come fare. La discesa era stata esattamente come gliel’avevano raccontata: stressante. Prima i controlli di sicurezza, poi i controlli sanitari — che non avevano tanto lo scopo di proteggere i downsider, ma piuttosto quello di ottenere una base di confronto per quando sarebbe tornato e così preservare gli upsider — e infine i colloqui, in cui era stato costretto a perdere quindici minuti ad ascoltare un funzionario governativo paranoico che spiegava a lui e agli altri viaggiatori cosa fare e non fare una volta a Downside, compresi i severi avvertimenti relativi alla prolungata vicinanza fisica con la gente del posto e il divieto categorico di contatto fisico con loro, soprattutto per gli upsider come lui — erano due tra le dozzine di presenti ai colloqui — con corpi per lo più organici.

Il viaggio vero e proprio da Upside alle pianure era durato solo dieci minuti, ma non gli sarebbe dispiaciuto se fosse durato più tempo, poiché la vista era a dir poco meravigliosa. Vedere con i propri occhi i crinali calanti, le vaste distese di terra arida con i loro rossi e fulvi incredibili, e quell’antica città sullo sfondo, vedere tutto ciò con i propri occhi era molto più inebriante di qualsiasi cosa avesse mai visto nel Virtuale.

Tuttavia, giunto a destinazione, e uscito dal trasportatore, scoprì che gli si erano intrecciate le budella peggio di quanto si aspettasse. Quei suoni inconsueti e i volti stranieri, lo strano calore e gli scenari sconosciuti — tutto ciò sopraffaceva Ronin. Solamente la presenza di alcune guardie del Controllo — per quanto strano — con il loro aspetto sintetico e le loro forme e facce riconoscibili, infondeva in lui un discreto conforto. Eppure aveva voluto andarci, aveva deciso di andarci nonostante gli avvertimenti, e così, dopo un attimo di esitazione, usò la sua mappa mentale, cercò le indicazioni per il mercato centrale, di cui gli aveva parlato il suo amico Canyon, e iniziò a camminare.  Mentre partiva, avviò un hack che gli aveva passato Canyon, utilizzandolo per restituire falsi segnali sulla sua condizione e localizzazione all’Agenzia di Monitoraggio Planetaria. La procedura lo agitò, ma l’aveva testata con il suo amico prima di partire, e aveva funzionato.  Pregò, dunque, affinché continuasse a farlo. Disattivò anche tutte le comunicazioni private in modo da non essere disturbato da qualche amico che desiderasse conversare o ficcare il naso durante la sua visita a Downside — un luogo che aveva smesso di evolversi ormai da secoli, sebbene fosse stato il luogo di nascita dell’umanità.

Trenta minuti dopo, si fermò di fronte alla bancarella di un venditore di risocarne. La pelle del maschio, come quella di tutti gli altri tuttumani che aveva visto, era del colore dello sporco, laddove non fosse sfregiata o deturpata da malattie e inquinamento.

Dopo aver finito con un altro cliente, il maschio si avvicinò e parlò. Ronin si chiese cosa stesse dicendo —  c’erano ancora persone che usavano la propria voce per comunicare ad Upside, ma i suoni che uscivano dalla bocca di questo erano incomprensibili.

Ronin gli fece segno di rallentare ed emise un mormorio forzato dal suo dispositivo vocale, con la speranza di venire compreso. Disse: “Me ne dai una succosa?”

Il maschio scosse la testa e pronunciò altre parole incomprensibili alla sua partner femmina, la quale squadrò Ronin calorosamente, prima di entrare nella bottega. Forse lei lo aveva compreso? E gli avrebbe portato della veracarne?  Lo sperava.

Ronin attese pazientemente, anche se il sorriso sprezzante del maschio lo metteva a disagio. Quando il maschio strabuzzò gli occhi per la terza volta, Ronin pensò: Come osa guardarmi così? Ma era colpa sua, dopotutto.  Chi era mai sceso da Upside per chiedere la veracarne? Di certo non gli onesti e i rispettosi della legge. Erano solo i più selvaggi a farlo, come il suo amico Canyon: scendevano a divertirsi, esplorare e godere di ciò che non era disponibile ad Upside. Canyon gli aveva detto che bisognava sapere dove andare e come chiedere la veracarne, perché era illegale, e anche se per il possesso non si veniva arrestati, si poteva comunque essere multati o umiliati. Questo venditore di risocarne era uno di quelli che vendevano la veracarne se si conosce la parola d’ordine. Ronin l’aveva forse chiesta nel modo sbagliato? Sperava di no.

Ronin era sceso in pianura per fare due cose: innanzitutto, voleva provare la vera e propria ciccia, per la quale aveva sempre avuto una fantasia inspiegabile, poi, voleva incontrare una femmina tuttumana perché era stanco di relazioni virtuali e digiamori, e desiderava il tipo di compagnia e di amore che vedeva nei vecchi film, anche se, per questo, tutti i suoi conoscenti ad Upside lo reputavano  ambiguo.

E, sebbene Canyon lo ritenesse altrettanto ambiguo, aveva accettato la stranezza di Ronin e gli aveva fatto vedere dei digirecord di femmine tuttumane che aveva incontrato durante i suoi molteplici viaggi a Downside. Inoltre, gli aveva detto che gliene avrebbe presentate alcune se fosse sceso con loro la volta successiva. Ma Ronin non era un tipo socievole, e così, dopo molto tempo trascorso ad automotivarsi e a farsi coraggio, si era finalmente deciso di scendere in solitaria quella stessa mattina.

Dopo una decina di minuti, tornò la venditrice. Aveva un sorriso avido sul viso butterato e paffuto, e lo guardava con occhi curiosi. Ronin pensò che fosse perché era la prima volta che vedeva un umano alto un metro e ottanta, biondo e dalla pelle liscia. Lui arrossì. Ma che mi succede?

C’erano anche altre tre femmine in piedi dietro di lei, una delle quali aveva due occhi ammalianti che la rendevano sorprendentemente bella, e tutte e tre lo guardavano con le mani davanti alla bocca, per coprire le risatine. Ronin si accigliò; non riusciva a capire se stessero ridendo di lui o se cercassero di nascondere l’imbarazzo che provavano nel vedere un maschio di Upside. Nel primo caso, era sua la colpa se sembrava così fuori luogo; sarebbe dovuto partire con dei vestiti più appropriati. Infatti, si era presentato con gli abiti attillati e cangianti che andavano di moda ad Upside, mentre la gente qui vestiva largo e in tinta unita. La possibilità che le loro reazioni fossero dovute alla seconda opzione, invece, lo fece rabbrividire. In effetti, due di loro avevano uno sguardo eccessivamente predatorio, oltre alla pelle macchiata e cicatrizzata dalle condizioni del pianeta e dalla costante degenerazione del genoma dei tuttumani, causata da una malattia virale che li aveva infettati alcuni secoli prima. Questo era uno dei motivi per cui il contatto fisico tra upsider e downsider era proibito, anche se Ronin aveva visto, presso l’università, un filmato ufficiale in cui si affermava che la malattia non era più una minaccia.

Gli occhi di Ronin si illuminarono quando quella con i capelli biondi, di forse diciotto, ventidue o ventisei anni — non riusciva a capire l’età delle persone laggiù — mosse la mano e gli mostrò un sorriso che, unito allo sguardo ipnotico, lo scosse profondamente. Il fatto era che aveva visto quelle espressioni — sorrisi che si estendevano sull’intero volto — soltanto nei film, e mai sui volti di uno qualsiasi tra gli upsider, neutro, maschio o femmina che fosse. L’effetto era tale che le sue cicatrici e le sue imperfezioni risultavano quasi belle.

Proprio  in quel momento, la venditrice disse al maschio qualcosa che suonava come, “Eccattè, ‘more. Quest’è pe’l psider.”

Non era sicuro del significato di quelle parole, ma capiva dai suoi sguardi che era ritornata con ciò che lui stava cercando. Fin dal suo arrivo, si era sentito fuori luogo e a disagio nell’interagire con la gente del posto, come con il bambino che gli si era avvicinato per toccarlo mentre si recava lì, e quella femmina che poi era venuta a recuperare il bambino con occhiate diffidenti e parole di scuse; Ronin non aveva replicato in alcun modo, né aveva mosso un dito finché la femmina non se n’era andata con il bambino. Ma in quel momento, come vide quel piccolo pacchetto illecito nella mano della femmina, sentì un’eccitazione segreta e non vedeva l’ora di riceverlo, tanto che guardò i venditori  ancora più ansiosamente di quanto gli riuscisse naturale e forzò un gracchiante “per favore” fuori dalla bocca.

Il maschio rispose alla femmina, che probabilmente era sua moglie — la gente di laggiù si univa ancora in coppia — e disse qualcosa che suonava come: “Grazie, pasticcino!” Poi prese il pacchetto con cautela, si voltò verso Ronin e glielo porse, dicendo: “La tua succulenta.

Ronin prese il pacchetto con un movimento quasi solenne. Quando i suoi amici l’avrebbero saputo, ne sarebbero stati entusiasti. Proprio in quel momento, un odore incredibile raggiunse le sue narici passando attraverso l’involucro, e — incapace di resistergli — cominciò ad aprire il pacchetto, quanto bastava per sbirciare al suo interno.

Mentre lo faceva, la carnagione del venditore di riso mutò da un tono scuro a uno rosso furioso, e la sua mano colpì quella di Ronin, che si pietrificò.

Quando si rese conto di quello che stava per fare, si guardò intorno, aspettandosi una squadra di poliziotti pronta ad assalirlo. Ma non c’era, così il suo cuore rallentò. Fece  dei movimenti attenti per riavvolgere il panino correttamente e completamente, poi lo allontanò dal viso per non sentirne l’odore invitante.

Ronin guardò il venditore con un sorriso dispiaciuto.

Il maschio disse: “Lascia stare, quaccento.”

Con un’altra espressione confusa, Ronin fece capire all’uomo che avrebbe dovuto ripetersi.

Il maschio — con la faccia palesemente seccata — scandì le parole: “Quattro. Cento.”

Quattrocento?! Sapevo che sarebbe costato caro, ma quattrocento crediti? Ronin mise il dito sullo scanner, pagò per il suo “riso” e fece per andarsene, ma qualcosa lo trattenne: la ragazza. Voleva conoscerla. Ma come poteva fare? Avrebbe voluto invitarla a venire via con lui. Ma cosa avrebbero potuto fare? Lui non riusciva nemmeno a parlare come si deve. Maledicendosi, le lanciò un’occhiata veloce e se ne andò. Neanche un attimo dopo, sentì il marito borbottare e poi la sua femmina che emetteva dei suoni rassicuranti. Ronin si colpì la fronte, rendendosi conto di essere stato scortese, e si voltò per dire “grazie” alla coppia. Poi lanciò a quella bellissima femmina tuttumana un ultimo sguardo di desiderio e se ne andò.

 Di lì a poco, Ronin si fermò e pensò: Dannazione! Vorrei ci fosse un modo per conoscere quella giovane femmina. Forse posso tornare più tardi… ma cosa potrei dirle? E si rimproverava per aver pensato davvero di poter andare fin lì e conoscere una ragazza, senza sapere niente né della società di Downside né di come instaurare una conversazione con una persona non-connessa. Quando riprese a camminare, accantonò tutti quei pensieri frustranti, procedendo con la mente concentrata solo sul pacchetto, che continuava a stringere con crescente entusiasmo. 

Sapeva che nessuno gli avrebbe creduto quando, durante la loro successiva diginnessione, avrebbe raccontato quello che aveva fatto. Ronin? A Downside? E con abbastanza coraggio per chiedere della veracarne? Eppure, ce l’aveva fatta! Ce l’aveva fatta e aveva fatto tutto da solo! Tranne… Ronin si proibì di continuare quel pensiero.

Ora, aveva solo bisogno di trovare un posto tranquillo dove sedersi e assaporare il suo cibo. Non aveva idea di quale animale fosse stato sacrificato per fornire la sostanza per farcire il panino, ma doveva provenire da una delle poche grosse specie animali ancora esistenti sul pianeta. Il suo amico gli aveva detto che probabilmente era carne di corvo imperiale.

Ronin cercò per un po’ di tempo di trovare un posto lontano da tutti, poiché la mappa mentale di Downside non era dettagliata come quella di Upside, e dover usare i suoi occhi e la sua memoria per tenere traccia di dove stesse andando — in modo da poter tornare al porto di connessione più tardi — gli provocava un forte disagio. Ora capì perché i suoi amici avevano detto di non aver mai esplorato nulla oltre al centro della città.

Il processo per tentativi ed errori che lo portò a imboccare vicoli ciechi poco raccomandabili e strade decadenti, delle quali neanche una portava a un parco o a una zona tranquilla dove poter mangiare il suo panino, lo angosciava terribilmente e lo faceva sudare nervosamente. E se non riuscissi a trovare la strada di ritorno? E se mi perdessi? Perché non riesco a trovare tutti quei grandi parchi che dovrebbero esserci da queste parti???

Altri dieci minuti dopo, arrivò a un grande incrocio con quattro strade che procedevano in direzioni diverse e cominciò a farsi prendere dal panico. Fece una pausa, cinque respiri profondi e, quando il battito rallentò, decise di tornare all’incrocio precedente. Per due lunghi minuti faticò a ricordarsi la strada, ma alla fine ci riuscì e la ritrovò.

Ritornare nell’unico luogo che ricordava lo fece sentire molto sollevato, così osservò più attentamente la disposizione di quella parte della città per cercare il parco che secondo la sua mappa mentale avrebbe dovuto essere lì intorno. Dopo aver trascorso un altro minuto a confrontare ciò che vedeva con ciò che ricordava di aver già esplorato — che era un’impresa già di per sé, poiché alla gente di Upside non serviva ricordare come arrivare da qualche parte, dato che le loro mappe mentali e i veicoli autonomi li portavano ovunque — optò per la strada sulla destra e si incamminò, promettendosi di fare ritorno al porto di connessione in caso di ennesimo fallimento, e al diavolo il suo pasto!

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