Buongiorno amici. Ecco, oggi, il quarto dei primi sei capitoli di Premonizioni.

Questo capitolo, chiamato Presso il Lago delle Ombre, è un capitolo di avventura (per i nostri eroi) e di scoperta (per i lettori). Vi permetterà di capire un pò di più la natura di Toras, dei suoi soldati e dei furani, come anche di più sull’ecologia di K’Tara.

Troverete qui il diagramma relazionale che mostra chi sono i personaggi principali e in che modo sono connessi.

Se vi piace questo capitolo, o se non vi piace, lasciatemi un commento in basso.

L.A. Di Paolo

IV PRESSO IL LAGO DELLE OMBRE

Prima che la luce del Sole Blu illuminasse il mattino, Toras, Kendor e quattordici dei loro uomini migliori, insieme a quattordici uomini della Guardia Reale e al loro comandante, Secundus Jamir, erano pronti a partire. Toras aveva dormito poco e male, così come Kendor, ma le notti brevi non erano una novità per i soldati esperti, dunque, oltre ad essere tutti scontrosi, erano vigili e pronti per la partenza.

Il principe, i suoi ufficiali e il Secundus Jamir avevano appena finito di discutere la rotta da seguire per raggiungere Spiritii e avevano infine deciso di volare lungo il versante orientale delle Cime dei Furani. Questo avrebbe permesso loro di fare una sosta notturna in un avamposto ai piedi dell’estremità più meridionale delle Cime dei Furani, vicino a uno specchio d’acqua noto come Lago Montagna. Una mezza dozzina degli uomini di Toras facevano turni annuali per trasmettere messaggi alla Fortezza in caso di pericolo o necessità nella regione. Dal Lago Montagna, la compagnia del principe aveva bisogno di circa altri tre giorni per raggiungere la pianura tra le Cime dei Colossi e la città di Spiritii.

Il Primus Kendor sosteneva fosse meglio volare più vicino alla cima delle vette dato che i furani viaggiavano meglio attraversando grandi distanze all’aria fresca delle montagne, ma le continue tempeste sulle montagne durante quel periodo dell’anno indispettivano Toras, al punto che decise di non seguire tale rotta e di optare invece per un volo basso lungo i piedi della catena montuosa. Anche questa opzione, tuttavia, presentava dei rischi, come i mordicchi che sciamavano nelle pianure umide ai piedi delle vette. Alcune specie di mordicchio, infatti, potevano strappare pezzi di carne dalle pance e dalle nuche di umani e furani, lasciando buchi delle dimensioni di una testa di spillo che sanguinavano a lungo. Queste ferite, inevitabilmente, si infettavano e alcune di queste infezioni erano fatali.

Beh, pensò Toras, finché non ci avviciniamo troppo a terra, dovremmo stare a posto.

Dopotutto, lui e i suoi uomini conoscevano quei territori. L’unico vero rischio era attraversare la prateria tra le montagne e Spiritii, perché la regione era infestata dal contorcitore, un insetto che usciva di notte in sciami di decine di migliaia, per attaccare qualsiasi animale a sangue caldo abbastanza sfortunato da attraversare quella zona o da sostare nella prateria, altrimenti rigogliosa e invitante. Si diceva che rimanere bloccati in quelle pianure dopo il tramonto fosse un vero e proprio suicidio. Infatti, secondo i rari resoconti dei sopravvissuti, i vili insetti potevano divorare la carne di un essere umano in pochi minuti. Nessuno aveva ancora provato a catturare esemplari degli insetti per verificare le affermazioni dei sopravvissuti – nemmeno la Sorellanza,  ma le prove dei pericoli presenti in quella prateria erano abbastanza per tenere alla larga i viaggiatori più saggi. Toras assicurò a suo fratello e a Elyana, preoccupati dopo aver appreso il suo itinerario, che avrebbe evitato di sostare nella prateria di notte.

Il principe stava osservando gli uomini mentre sfregava la testa del suo furano con movimenti delicati. I soldati avevano finito di impacchettare tutto l’essenziale, così come avevano finito di sellare le loro cavalcature, e a Toras sembrava che lo avessero fatto con un’insolita vivacità, nonostante la loro stanchezza. Forse, pensò il principe, erano ansiosi di allontanarsi dalla fortezza e di vedere cieli più favorevoli. O forse Elyana si era presa cura di loro, la scorsa notte, alleviando la loro spossatezza. In ogni caso, era grato per la loro prontezza perché anch’egli era ansioso di partire.

Si chiese se gli animali, che sbattevano le zampe e sbuffavano nervosamente, stessero provando la stessa sensazione. Ma probabilmente stavano solo reagendo all’agitazione circostante. Di sicuro, i furani avevano un’intelligenza diversa da quella di qualsiasi altra specie animale. Vivevano in società strutturate, comunicavano tra loro pensieri complessi che usavano per organizzare le loro cacce e certamente comprendevano le lingue umanoidi, nonché il linguaggio dei segni. Sfortunatamente, i loro strilli e le loro fusa non erano facilmente comprensibili agli umanoidi, anche se i soldati imparavano a riconoscere alcune delle loro vocalizzazioni, così come i loro movimenti di testa e zampe. I kynariani erano in grado di leggere i loro pensieri attraverso il Legame. Sfortunatamente per Toras, l’abilità di lettura animale non era nelle sue corde, nonostante fosse un mezzosangue. Eppure, riusciva a capire le loro vocalizzazioni meglio di molti altri e ne era orgoglioso. Mentre guardava i furani farsi versi l’un l’altro, un’altra domanda gli attraversò la mente. Avrebbe potuto essere d’aiuto usare i furani per combattere la Serpe? Probabilmente no, concluse, poiché le unità furaniche si sarebbero spinte oltre la nebulosa della Lux Baiula. Eppure, la Serpe non aveva diretto il suo attacco cerebrale contro Harlion e i suoi uomini mentre erano nella torre. Forse. Forse.

Inoltre, il principe fantasticava sulla differenza tra i suoi uomini e i guardiani reali. Infatti, questi ultimi erano vestiti con uniformi dorate e ben stirate, nonostante la battaglia della notte precedente, ed erano equipaggiati con lance e spade, mentre i primi indossavano le loro solite uniformi tutte nere, più grigie che nere quella mattina, ed erano armati di pugnale, arco Alnoor e frecce yerlayane.

Gli archi lunghi Alnoor erano i più preziosi di tutte le Terrae Regis. Erano costruiti con i rami di alberi eccezionali, gli alnoor, presenti esclusivamente nei boschi adiacenti alla Foresta dei Colossi. Le loro fibre erano lunghe e flessibili, nonché altamente resistenti, il risultato era un arco che poteva scagliare frecce a distanze di gran lunga superiori ai mille metri. Naturalmente, gli umani non potevano distinguere i bersagli così lontani, e, quindi, raramente usavano questo legno per i propri archi, ma Toras, la cui vista da kynariano gli permetteva di individuare bersagli fino a ottocento metri di distanza, usava l’arco Alnoor. Aveva anche fatto modificare l’arco in modo tale che anche i suoi soldati potessero farne buon uso. Le modifiche permettevano di regolare la tensione dell’arco in base alla distanza e alle dimensioni del bersaglio. Queste modifiche tecniche, unite a un rigoroso addestramento, avevano trasformato i guardiani della Guardia Nera negli arcieri più temuti di tutte le Terrae Regis, secondi solo alle loro controparti kynariane.

 Primus Kendor si stava avvicinando al principe con un mugugno: “Signore Comandante, la compagnia è pronta a partire. Aspettiamo solo i tuoi ordini.”

Toras uscì dai suoi ragionamenti e annuì. L’ufficiale, robusto e dalla faccia quadrata, si diresse di passo svelto verso il Secundus Jamir e comunicò l’ordine del Signore Comandante. In soli venti secondi, tutti i soldati avevano montato i loro destrieri alati.

Proprio quando Toras stava per dare il segnale a Scorch, suo fratello apparve sul balcone della sala da pranzo. Il giovane principe fece un cenno al fratello maggiore che rispose allo stesso modo. Diede poi un segnale verbale a Brucio e l’animale prese il volo con uno stridio eccitato, poi ripetuto dai furani della Guardia Nera, che includeva due furani da soma. Poco dopo, risposero anche le cavalcature della Guardia Reale.

Aithen osservò la compagnia furanica con un misto di apprensione e invidia mentre svanivano in lontananza. Poi sospirò e tornò in sala da pranzo per interrompere il digiuno e iniziare a prepararsi per la partenza.

***

Alla fine della prima giornata, dopo aver volato senza sosta, tranne durante le due ore di altosole, la compagnia si fermò davanti a una distesa di alberi in mezzo a una prateria incastrata tra i boschi a nord e il Grande Fiume Torrente a sud. La prateria era cosparsa di fiori color celeste, arancione e rosa violaceo, che illuminavano il campo durante le ore del tramonto. Toras avrebbe normalmente circondato la zona un po’ prima di scendere, semplicemente per godersi lo spettacolo, ma non quella sera; gli uomini avevano bisogno di riposare e lui anche.

Dopo aver sganciato i loro furani, gli uomini ne mandarono un paio a cacciare un po’ di selvaggina. L’idea di un buon belatro dopo quello che avevano dovuto affrontare la scorsa notte avrebbe dovuto far cantare gli uomini con trepidazione. Ma non quella sera. Nemmeno la vista della cacciagione dei furani o l’odore piacevole emanato dalla sua cottura, né assaporare quella tenera carne, fecero cantare gli uomini. Invece, la conversazione si spostò rapidamente sul rokon e iniziarono le speculazioni sulla sua vera natura, così come la commemorazione dei loro compagni perduti. Gli uomini cercarono di parlare di cose più gioiose, ma semplicemente non ci riuscirono. Persino Toras, che spesso intratteneva i suoi uomini con degli aneddoti, non riusciva a ravvivare l’atmosfera.

Così, quando la luna era a metà strada dal suo apice e gli stomaci erano stati messi a tacere, gli uomini posero le loro coperte intorno al fuoco e si addormentarono. Tuttavia, molti trovarono difficoltà a prendere sonno. Le sentinelle, sentendo i suoni tremendi che provenivano da chi ci riuscì, si chiesero se non fosse meglio rimanere a far la guardia fino al mattino. Fortunatamente, gli incubi notturni alla fine lasciarono il posto al sonno profondo, accolto da tutti i soldati stanchi. E fu un bene, perché solo allora il Signore Comandante lasciò che la sua mente si concedesse al sonno.

Il giorno dopo, i mormorii dei furani – un suono dolce che facevano per salutarsi quando il Sole Blu era il primo a sorgere al mattino – risvegliarono gli uomini. A sorpresa di tutti, il loro umore era migliorato. I fiori, che la sera prima si erano colorati di tinte blu, viola e arancione, ora erano bianchi e gialli e sprigionavano una fragranza che rallegrava anche il più burbero dei soldati. Persino Toras si colse a sorridere mentre inspirava profondamente. Forse Elyana si era sbagliata e la creatura che aveva attaccato Passo del Corno era un rokon; insolitamente grande, ma comunque solo un rokon. O almeno così lo facevano ragionare quegli ambienti paradisiaci. Ma in fondo sapeva di illudersi, e il suo sorriso svanì, seppur lentamente.

Prima di lasciare il campo base, gli uomini masticarono parte della carne avanzata la notte precedente; il suo sapore era un po’ strano – essendo fredda – ma soddisfaceva ancora l’appetito dei soldati. Mezz’ora dopo, la compagnia era di nuovo in volo.

La giornata sarebbe stata tranquilla, se non fosse stato per il trambusto creato da uno stormo di starnazzori cornuti ansiosi di trovare riparo prima delle Bollhorae, e ancora per il trambusto che si creò dopo che Toras e i suoi uomini,  per mancanza di altri rifugi adeguati nelle vicinanze, decisero di ripararsi sotto la stessa copertura di alberi scelta dagli starnazzori. I soldati avrebbero preferito scacciare i volatili, ma erano una delle poche grandi famiglie di volatili senza scudo solare[1] e cacciarli via sarebbe equivalso a mandarli a morire. Effettivamente – negli spazi aperti – la maggior parte delle creature senza scudo solare moriva per il caldo, e qualsiasi creatura così sciocca da rimanere allo scoperto, anche con uno scudo, rischiava gravi lesioni, se non la morte, a causa della tempesta che seguiva le Bollhorae. Dunque, i soldati si rassegnarono alla presenza di quei chiassosi compagni di rifugio. Infatti, le Bollhorae rendevano molte creature compagni temporanei di rifugio. Questo portava spesso a strani incontri tra predatori e prede, segregati, ma pur sempre vicini gli uni agli altri, che si guardavano tranquillamente durante la prima ora e poi con crescente tensione, man mano che si avvicinavano gli ultimi minuti delle Bollhorae. Infine, le prede scappavano dandosi alla macchia nel momento in cui percepivano che i muscoli dei predatori iniziavano a contrarsi.

Quando le Bollhorae passarono, gli starnazzori fecero dei versi rivolti ai furani, per tenerli lontani, poi uscirono dal rifugio e presero il volo provocando ulteriore trambusto. Inutile dire che furani e umani erano ben felici di liberarsi dei rumorosi animali. Così, qualche minuto dopo anche la compagnia riprese a volare.

Poco prima che il Sole Rosso tramontasse, Toras intravide ciò che stava cercando attraverso gli intensi raggi dorati. Chiamò Kendor, che stava volando una decina di metri alla sua destra, e indicò il lago sotto di loro; sulla punta occidentale di esso, l’avamposto di Lago Montagna si stagliava come la luce di un faro. Kendor fece un segno con la testa e soffiò nel corno per richiamare l’attenzione delle unità furaniche. Poi suonò il corno più forte e più a lungo in modo che gli uomini dell’avamposto potessero sentirlo.

A terra, uno dei soldati sentì il corno e gridò per avvertire il suo sergente. Il sergente uscì da una grande caserma, tirò fuori il suo occhiale e rapidamente lo mise sugli occhi per vedere chi stava arrivando. Quando riconobbe i soldati in prima linea, gridò a uno dei suoi uomini di portargli la bandiera. Un soldato di nome Curos porse la bandiera alvinoriana al suo ufficiale. Non appena l’uomo la prese, la sventolò per far capire al gruppo in arrivo che gli era permesso scendere. Kendor fece un cenno di saluto e guardò il suo comandante, che alzò subito una mano per dare alle unità furaniche il segnale. Toras e i suoi uomini si lanciarono per primi in picchiata, seguiti dai membri della Guardia Reale e dai due furani da soma. Le unità toccarono terra un minuto dopo.

Il sergente Tamas si diresse verso il suo comandante con un’andatura vivace e con un ampio sorriso. “Signor Comandante, benvenuto! Non mi aspettavo il suo arrivo. In ogni caso, troverete l’avamposto in perfetto ordine” continuò l’orgoglioso soldato.

Il principe scoppiò a ridere e disse: “Sono sicuro che il suo avamposto sia in perfetto ordine, sergente. Ma, come potete immaginare, non sono qui per un giro d’ispezione. Stiamo andando a Spiritii e dobbiamo fermarci qui per la notte.”

Il sergente lanciò uno sguardo perplesso al suo comandante, al quale Toras rispose: “Stiamo volando con altri uomini della guardia di mio fratello… È una missione speciale.”

Tamas, un uomo di mezza età, si accigliò come se fosse scettico. Ma sapeva che non era appropriato interrogare il suo comandante e si dimenticò dei suoi dubbi. Allora disse: “Sarete affamati, Signor Comandante. Manderò i furani a cercare della selvaggina fresca.” E il sergente si voltò e urlò: “Curos! Libera i nostri cacciatori, che ci portino qualche bel ruminante. E assicurati che portino solo la carne più tenera!” Poi, rise fragorosamente.

Quel caloroso benvenuto fece sorridere Toras un’altra volta, mentre colpiva l’ufficiale sulla spalla dicendo: “Sergente, Brucio si unirà ai vostri furani; come sapete, gli piace cacciare e anche se stiamo volando da stamattina, sono sicuro che ha abbastanza energia per riportare indietro un belwohr!”

“Certamente, mio Signore. E chiederò a uno dei miei guardiani di tirare fuori delle gusciole[2] per gli altri furani; sarà il loro antipasto finché non torneranno con la carne fresca.”

Il sergente gridò questi altri ordini a una giovane recluta che veniva presentata agli uomini di Toras dai suoi compagni. Senza un attimo di esitazione o un accenno di fastidio, l’uomo si voltò, accettò l’ordine e si apprestò a eseguirlo.

Guardando il sergente con un sorriso sempre più ampio, Toras pensò che questo Tamas gli piaceva davvero. Guardandolo, non lo si sospetterebbe così gioviale. Per prima cosa, aveva una costituzione simile a un belwohr. Non era molto alto, ma era robusto, con due tronchi al posto delle gambe, braccia nodose e mani che potevano frantumare la pietra. Infatti, il sergente Tamas era stato il vincitore – per il sesto anno consecutivo – dei combattimenti celebrativi, che segnavano il ritorno a cadenza annuale degli uomini dislocati in missione. Ma nonostante il suo aspetto intimidatorio, era un tipo molto gioviale.

Toras si allontanò dal sergente quando sentì le risate degli uomini. Sembrava che i suoi soldati e quelli assegnati a quell’avamposto, la maggior parte dei quali si conoscevano bene, si stessero prendendo gioco l’uno dell’altro.

Il principe pensò: Bene. Sono contento che abbiano trovato qualcosa di cui ridere. Ma si accigliò quando notò Jamir e il suo gruppo isolarsi dagli altri. Sapeva che probabilmente non conoscevano nessuno lì, ma sospettava che alcuni di loro, come Jamir stesso, non pensassero troppo bene di questi “sacchi di patate”, come i soldati della città erano soliti chiamarli, e preferivano starne lontani.

Anche alcuni furani si riconoscevano e i “locali” salutavano i “visitatori” che si avvicinavano, guidati da uno degli uomini dell’avamposto, con brevi, ripetuti e vibranti trilli. Accanto alla scuderia, Curos stava dando ai dieci cacciatori riuniti – tra cui Brucio – il comando di tornare con il cibo, che consisteva in un movimento della mano verso la bocca seguito dal dito che li indicava e infine da entrambe le mani che si muovevano giù fiancheggiando il suo petto, il segno per indicare la gente. Gli animali annuirono mentre emettevano uno strillo eccitato. Poi iniziarono a sbattere le loro potenti ali e decollarono un istante dopo. I furani avrebbero trovato il cibo per se stessi, che avrebbero riportato tra le zampe, nonché il cibo per i soldati, che avrebbero riportato con il becco.

Tre soldati, i gemelli dell’unità di Toras e un uomo dell’avamposto, si adoperarono per preparare un fuoco con cui riscaldarsi e cuocere la carne. Camminarono verso il retro della caserma, dove i tronchi e i rami secchi da ardere erano ordinatamente impilati. Una volta lì, il guardiano locale, un tipo sulla ventina di nome Hanne, esile ma dal colorito roseo, con occhi e capelli scuri, guardò i grandi tronchi, poi guardò i gemelli Falirin, accennando una provocazione. I guardiani di Toras, anch’essi ventenni e buoni amici di Hanne, capirono subito cosa intendesse con quel sorriso beffardo. Si guardarono e accettarono prontamente la sfida. Al segnale di Hanne, ognuno corse a prendere cinque tronchi grandi, poi via di corsa verso il falò il più velocemente possibile. Hanne vinse, come si aspettava, ma afferrò Falor e Felor e diede a entrambi una pacca amichevole sulle spalle. Così, gli uomini ritornarono ai loro doveri, accesero il fuoco e misero gli spiedi in cima alle fiamme per sterilizzarli.

Nel frattempo, il resto degli uomini di entrambe le guardie si occupava dei rispettivi furani togliendo loro la sella, spazzolandoli e ispezionandoli per individuare eventuali piaghe sulla schiena. Fatto ciò, montarono la tenda del principe e la tenda comune.

Mezz’ora dopo, i cacciatori tornarono con un ruminante e con un grosso pesce ciascuno. I furani lasciarono cadere la cacciagione davanti a Curos, l’allevatore di furani, tranne Brucio che atterrò davanti al suo padrone e lasciò cadere lì la caccia. Toras lo ringraziò, ma lo mandò da Curos insieme alla sua preda. Brucio obbedì, anche se parse un po’ irritato. Una volta che Curos aveva davanti a sé il bottino di ogni furano, ringraziò gli animali, accompagnando le parole ai gesti come faceva sempre, dopodiché fece portare al cuoco e ai suoi assistenti le bestie.

Curos poi lasciò che i cacciatori entrassero nel recinto con gli altri furani e, con l’aiuto di un altro soldato, tagliò il pesce in pezzi sufficienti per dare ad ogni furano la sua parte, compresi quelli che non avevano cacciato.

Davanti al falò, Hanne e i gemelli ringraziarono i ruminanti per la carne offerta e continuarono a cuocerli, dando la pelle e le parti non commestibili ai furani. Trenta minuti dopo, il cibo era pronto e Hanne chiamò tutti a sedersi e mangiare. Toras, vedendo che gli uomini stavano cercando di isolarsi nei gruppi delle rispettive Guardie, chiamò il Secundus Jamir e invitò l’ufficiale a sedersi accanto a lui e Kendor. Jamir accettò l’invito, seppur a malincuore, ma questo gesto incentivò i soldati a mescolarsi tra loro. E fu positivo, poiché, dopo aver iniziato a mangiare e a bere, seguirono la narrazione di storie e i canti di gruppo. Così, anche i guardiani reali – vedendo i loro colleghi divertirsi – si unirono alla festa.

Questa fu una piacevole sorpresa per il Secundus Jamir, che guardò il principe mostrandosi grato per l’invito. Toras gli sorrise, poi si voltò a guardare il cielo. In lontananza, vide un branco di furani selvaggi volare sopra la valle tra le Cime dei Furani e le Cime dei Colossi. Sembravano piccoli da qui, ma i riflessi del Sole Rosso –  al tramonto – sulle pance e le ali delle bestie regalarono a Toras un altro sorriso.

C’erano tre specie note di furani su K’Tara. La specie più piccola, conosciuta come furano verde, aveva un’apertura alare media di due metri e, per via del suo carattere mite, era un buon animale domestico quando veniva catturato giovane. Il furano bianco era una specie più grande; aveva un’apertura alare media di due metri e mezzo. Era una specie territoriale e impossibile da domare, in cui i maschi spesso si combattevano fino alla morte. La specie più grande di furani – da cui i furani reali venivano selezionati e allevati – era endemica della Bassa Alvinoria e la sua presenza si concentrava sulle Cime dei Furani; era noto come furano nero e aveva un’apertura alare media di quattro metri. Le sue dimensioni, la sua ferocia e la sua natura carnivora avrebbero dovuto renderlo incompatibile con gli umanoidi, ma i furani neri, fortunatamente, non amavano la loro carne. Invece, questa specie predava alcuni dei quadrupedi che abitavano le pendici presso le Cime dei Furani, così come le più grandi specie di pesci che abitavano i corpi idrici circostanti. Il furano nero era longevo, raggiungeva i settanta o ottant’anni di età. A causa della sua longevità, il rapporto che si stabiliva con il padrone poteva essere davvero molto stretto, a patto che venisse trattato con rispetto e che l’addomesticazione avvenisse fin dall’inizio nel modo corretto. Inoltre, il furano nero era una creatura altamente intelligente, dotata di strutture sociali e forme di linguaggio complesse, caratteristiche che, se ben sfruttate, potevano essere molto utili per gli umanoidi.

Proprio mentre Toras emetteva un sospiro silenzioso in risposta allo spettacolo offerto dai furani selvatici, uno dei soldati dell’avamposto – un uomo alto e muscoloso, nonostante la veneranda età – si avvicinò al sergente Tamas.

Disse: “Sergente, sta arrivando qualcuno che sembra far correre il suo vorano fino allo stremo.”

Tamas si alzò e guardò giù per la collina, verso est. “Mmm, con il Sole Rosso ormai prossimo al tramonto è difficile dire chi sta arrivando. Perché non lo intercetti in cima alla collina, Elmanon?”

“Come desidera, sergente.”

Elmanon andò ad attraversare la stretta strada che portava all’avamposto. Il cavaliere era ormai a poca distanza da Elmanon, che riconobbe un messaggero dal tipico cappello piatto a orlo stretto a strisce rosse e nere. Elmanon alzò un braccio per costringerlo a fermare il suo vorano.

Il cavaliere fermò il suo vorano a circa tre metri dal vecchio soldato, ma non si arrese. Elmanon non fece domande e osservò l’uomo con un’aria di autorevole che sembrava aver preso in prestito per il momento. Nel frattempo, cavaliere e vorano cercarono di riprendere fiato, dopo averlo evidentemente trattenuto troppo a lungo. Infine, Elmanon chiese informazioni sugli affari dell’uomo e il cavaliere, che boccheggiava ancora ansimante, rispose che aveva un messaggio urgente per il comandante della postazione. Ma Elmanon si limitò a segnalare al messaggero di scendere. Il cavaliere stava per lamentarsi, ma non voleva far arrabbiare il soldato, così fece come gli era stato ordinato.

Il cavaliere era un uomo basso e robusto, con un accento particolare e una barba ancora più strana, tirata indietro per avvolgere le orecchie dell’uomo.

Non comprendendo la mancanza di urgenza del soldato, il messaggero gridò: “Viaggiai centosessanta chilometri per arriva’ qui, guardiano, fatemi vedé il comandante, adesso!”

Ma Elmanon non era uno di quelli che rinunciava all’opportunità di esercitare l’autorità sugli altri, così continuò a mettere alla prova il nuovo arrivato. “E da dove vieni, messaggero?!”

Il pover’uomo sospirò esasperato e rispose: “È un villaggetto sulla costa orientale chiamato Galior e, se non ce darete presto supporto, è probabile che tutta la mia gente sarà già bella che morta quando tornerò. Vi prego fatemi vedé il vostro comandante.”

Elmanon s’accigliò perplesso, ma prima il messaggero stava cavalcando come un pazzo e ora lo stava implorando; forse diceva la verità. Il vecchio soldato fece cenno al messaggero di seguirlo e si diressero verso l’accampamento. Il forestiero lo seguì nervoso, aggiustandosi il cappello e spolverandosi ripetutamente i pantaloni, desiderando che il soldato camminasse un po’ più svelto.

Accanto al fuoco, gli uomini erano ancora seduti a finire i loro pasti o a bere un’ultima pinta di birra breminese. Toras e gli ufficiali si chiesero perché il nuovo arrivato fosse così agitato e lo osservarono con sguardi dubbiosi e inquieti. Il sergente Tamas si scusò e si diresse verso gli uomini in avvicinamento per scoprire quale catastrofe portasse con sé il messaggero.

Mentre i tre si avvicinavano, Elmanon accelerò il passo. Quando raggiunse il suo comandante, il vecchio soldato riferì prontamente la richiesta del messaggero. Tamas riconobbe l’uomo che si trovava dietro Elmanon e capì dall’aspetto esasperato del suo visitatore che il soldato doveva averlo provocato, così ringraziò frettolosamente il guardiano e gli ordinò di provvedere ai bisogni del vorano. Elmanon obbedì, ma non prima di aver rivolto al messaggero un ghigno e di aver provocato del fastidio in Tamas, il quale aveva notato la smorfia del soldato.

Mentre Elmanon si allontanava con il vorano, Tamas si avvicinò al nuovo arrivato e disse: “Le mie scuse per il comportamento del mio uomo, messaggero. Gli piace intimidire le persone quando ne ha la possibilità, una cattiva abitudine che non son riuscito a levargli.”

L’uomo fece un cenno indistinto.

“Ora dimmi, cosa ti porta qui, messaggero?”

Le parole fuoriuscirono dalla bocca dell’uomo come acqua da una diga rotta, costringendo Tamas a farlo rallentare più di una volta, in particolare quando il messaggero menzionò una qualche sconosciuta creatura malvagia.

Quando il messaggero ebbe finito, Tamas fece un’espressione sconcertata e disse: “Va bene. Credo sia meglio che tu lo ripeta al mio comandante. Seguimi e togli il cappello.”

L’uomo obbedì, ma non capiva perché dovesse togliersi il cappello; per quanto ne sapeva lui, lo si faceva solo di fronte a un nobile. Ma fece come gli era stato ordinato e seguì il sergente.

Quando raggiunse Toras, che stava parlando con il suo primus, Tamas si sporse verso di lui e disse: “Chiedo scusa, Signor Comandante. Un messaggero di Galior…” Tamas si voltò a guardare l’uomo, per assicurarsi che il nome del luogo fosse corretto: “un piccolo villaggio lungo la costa. Porta notizie piuttosto assurde, e non so bene cosa pensarne, ma è venuto qui per chiedere il nostro supporto.”

“Bene, sergente, si faccia avanti.”

Tamas si voltò e disse: “Vieni avanti, uomo, e riporta tutto al nostro Signore Comandante.”

L’uomo basso apparì improvvisamente nervoso. Non era certo di quali fossero i titoli usati nell’esercito del regno, dato che non aveva mai avuto a che fare con nessuno degli ufficiali di alto rango, ma un “Signore” doveva per forza essere piuttosto in alto nella gerarchia. Mentre si avvicinava, cercando timidamente di scrutare con chi avrebbe parlato, si rigirava nervosamente il cappello tra le mani.

“Beh, che succede, brav’uomo? ”

“Mi spiace mio Signore, m’hanno mandato qui a chiede’ il vostro aiut…” All’improvviso, il messaggero fece un passo indietro, si inchinò in basso, molto in basso, e guardò a terra. Poteva non essere un uomo di mondo, ma sicuramente era in grado di riconoscere i membri della famiglia reale, dato che qualsiasi città e villaggio aveva un loro ritratto appeso nel municipio. L’uomo fu colto alla sprovvista dal fatto che il giovane principe si trovasse proprio lì, di fronte a lui. Dopo qualche istante, si risollevò, ma tenne lo sguardo verso il basso, il cappello in mano e si affrettò a presentarsi come Grom di Galior.

Il principe disse: “Non c’è bisogno di guardare giù, Maestro Grom. Cosa minaccia il tuo villaggio?”

Il messaggero ringraziò il principe per il permesso concessogli di alzare lo sguardo, sollevò leggermente la testa e continuò a rispondere alla domanda del principe: “Mio Principe, ‘na bestia che non abbiamo mai visto prima ha attaccato i villaggi sulla costa e ha ucciso già molta gente. Ieri attaccò un villaggio a soli venti chilometri dal nostro. Il sindaco pensa che probabilmente saremo i prossimi. Mi mandò a cercare aiuto prima che fosse troppo tardi anche per noi.”

La reazione del principe sorprese tutti coloro che non lo conoscevano bene quando ringhiò: “Arrrrrgh! Maledizione! Perché adesso?!? Perché?!”

Grom indietreggiò, pensando di aver fatto arrabbiare il principe.

Notando la reazione del messaggero, Toras si calmò rapidamente. “Mi dispiace, Maestro Grom; Passo del Corno è stato attaccato ieri sera e sono abbastanza sicuro che fosse la stessa… creatura di cui parlate – un grosso rokon.”

Guardando ancora un po’ in alto e un po’ in basso, Grom rispose: “Mi spiace, mio principe. Ma non pò esse’n rokon. I sopravvissuti c’han riferito di persone morte in modi diversi da quelli con cui un rokon  uccide.”

Beh, pensò Toras, sembra che sarà molto difficile nascondere la vera natura del nostro nemico. Vorrei poter dire la verità, ma rispetterò la richiesta di Elyana. Credo che per ora non possa fare altro che dare risposte vaghe a tutti.

Toras disse: “Maestro Grom, la paura può farci vedere i fantasmi al posto delle ombre.”

Il messaggero sembrava terribilmente contrito, come se avesse appena tentato di insultare l’intelligenza del principe. Si allontanò e si scusò per la sua ignoranza.

“Non c’è bisogno di vergognarsi così, Maestro Grom. Ma non spargere voci; non è saggio farlo, specialmente non da parte di un messaggero. In ogni caso, risponderemo alla richiesta di supporto del sindaco. Per favore, lasciaci un momento per conferire.”

Grom era più che felice di dare al principe il tempo di consultarsi con i suoi ufficiali in privato – e di avere un po’ di tempo per recuperare un po’ della sua dignità – così si inchinò di nuovo e si diresse verso il suo vorano, che era stato legato accanto alla scuderia.

Kendor parlò per primo: “Signor Comandante, io dico di dividerci. Conosco i nostri ordini, ma è la cosa giusta da fare. Un terzo di noi può andare a Galior e il resto prosegue con voi verso Spiritii.”

Jamir rimase scioccato dal suggerimento e disse: “Non possiamo farlo!”

“Preferisci che un altro intero villaggio venga massacrato?” Rispose Kendor con la voce già intrisa di fervore. “Il sergente Tamas e i suoi uomini non possono occuparsi di quella bestia da soli!”

Con un tono vagamente beffardo Jamir disse: “I nostri ordini sono di riportare indietro il Gran Re, Primus Kendor.”

Kendor dovette trattenersi dal colpire quell’idiota, tenne la mano ferma, ma lanciò a Jamir uno sguardo che l’avrebbe certamente trucidato, qualora gli sguardi potessero uccidere. Toras maledisse il guardiano reale sottovoce. Francamente, non sapeva cosa rendesse alcuni reali così pregiudizievoli nei confronti dei neri; sicuramente non era colpa di suo fratello o Harlion. Entrambi avevano prestato servizio nella Guardia Nera e la rispettavano. Era l’invidia a far sì che questi uomini fossero così mal disposti verso di loro? O solo rabbia di essere subordinati a un uomo che non era un ufficiale della loro guardia? In ogni caso, Jamir certamente non si rese conto che la sua mancanza di rispetto per un uomo della Guardia Nera era un insulto al suo comandante e che in qualsiasi altra circostanza Toras l’avrebbe rimproverato severamente. Ma non oggi. C’erano altre questioni più urgenti di cui occuparsi. Tuttavia, il principe promise a se stesso che avrebbe discusso con suo fratello di alcuni dei suoi uomini.

Mentre riportò la sua attenzione alla situazione attuale, Toras notò che Kendor e Jamir aspettavano con una certa impazienza  di conoscere il suo verdetto. Così, Toras fece un rapido segno con la mano, impedendo agli uomini di lamentarsi ulteriormente, e disse: “Primus Kendor, voglio che tu vada a Galior con cinque dei nostri uomini e cinque del Secundus Jamir.”

Jamir iniziò a dire: “Devo obiett…” Ma Toras lo fermò con uno sguardo furibondo, lo stesso che aveva il re quando i suoi figli o qualche altro uomo lo irritavano. Così, l’ufficiale non si azzardò a proseguire oltre.

Toras disse: “Secundus! Le persone indifese hanno bisogno del nostro aiuto e noi glielo daremo. E visto che è anche responsabilità della Guardia Reale occuparsi della difesa dei sudditi del regno, manderò alcuni dei tuoi uomini insieme ai miei.”

L’ufficiale rimase lì ammutolito, con lo sguardo spaventato e l’orgoglio ferito. Ma Toras non poteva farci niente. L’aveva voluto lui.

Il Signore Comandante continuò: “Primus, hai i tuoi ordini. Secundus Jamir, seleziona cinque uomini per il Primus Kendor.”

Entrambi annuirono, uno con soddisfazione sul viso e l’altro con un’espressione vacua che si tramutò in sorpresa quando Toras aggiunse: “E, Secundus, sarai mio secondo al comando fino al ritorno di Primus Kendor.”

Jamir sembrava essere rimasto completamente sconcertato dal fratello del Gran Principe. A parte i meritati elogi per le abilità in combattimento del principe più giovane, Jamir aveva sentito molte cose negative riguardo al suo carattere irascibile e le sue decisioni spesso avventate. Ma questo modo che aveva, di mettere prima in imbarazzo le persone per poi concedere la sua fiducia, confondeva Jamir.

Toras continuò: “Primus, se non puoi uccidere la Serpe – come è probabile che sia – cerca almeno di allontanarla dal villaggio.” Poi aggiunse, più come affermazione che come domanda: “Conosci i rischi?”

Il soldato lo guardò facendo una smorfia, il che significava che sapeva benissimo quali fossero i rischi.

“Buona fortuna, amico mio, e che il tuo corpo sia degno.”

Gli uomini si strinsero le braccia e Kendor informò Grom che sarebbero partiti per Galior nel giro di pochi minuti. Toras intravide il sollievo di Grom. Il principe sentiva che il suo compito era diventato molto più complicato e disperato. Notò anche l’agitazione degli uomini a cui era stato detto che sarebbero partiti per Galior a breve. Gli improvvisi cambiamenti di piani non erano mai stati accolti come un buon segno. Gli uomini dell’avamposto e il loro sergente aiutarono il Primus Kendor e il suo distaccamento a prepararsi per la partenza, chiedendosi per tutto il tempo quale diavolo di rokon potesse causare una tale distruzione.

Allora, Toras convocò gli ufficiali nella sua tenda per discutere le strategie della compagnia diretta a Galior. Non appena furono tutti riuniti e Toras stava per cominciare, Secundus Jamir lo interruppe – educatamente – per suggerire al principe di mandare un messaggio a suo fratello, informarlo del cambiamento del loro piano e della conseguente scissione della compagnia. Ciò portò Toras a ringhiare ancora più forte, spaventando chiunque, dentro e fuori dalla tenda.

Non era stato Jamir a farlo arrabbiare, ma piuttosto il monito che non tutti sarebbero andati a difendere Galior. Perché io, o chiunque altro, dovremmo rimanere qui a sorseggiare tè, bere birra o dormire, mentre gli altri probabilmente affronteranno la Serpe tra meno di un’ora!? Perché?

Il desiderio di andare a Galior e di combattere con i suoi uomini era più forte della sua dedizione al compito di trovare il re. Doveva andare a Galior. La situazione lì era semplicemente troppo grave per permettere ai suoi uomini di rischiare la vita mentre lui andava avanti sano e salvo. Suo padre era importante, ma era protetto da alcuni dei migliori uomini del regno, e probabilmente stava bene, ovunque si trovasse.

Mentre questi pensieri confliggevano nella sua mente, il principe si innervosiva sempre di più, così Jamir fece un passo indietro – per non saper né leggere né scrivere. All’improvviso, Toras tirò un pugno con tutta la sua forza al palo centrale della tenda, facendolo cadere rovinosamente – e il soffitto crollò. In preda alla collera, strappò anche la tela, facendo così crollare il resto della tenda. Gli uomini non potevano fare altro che appallottolarsi, per proteggersi dalla caduta dei pali.

Secundus Jamir – come gli altri uomini – era raggomitolato a terra, coperto dal telo della tenda, e scuoteva la testa confuso. Quindi, questo è quello che intendono quando dicono che il principe è imprevedibile e pericoloso come un belwohr infuriato. Proprio in quel momento, l’ufficiale sentì il principe ringhiare alla sua sinistra. Con un sospiro, sguainò la lama e iniziò a strappare la tela per cercare di raggiungere il principe. Ma non fu facile farsi strada tra i molti strati di materiale e i pali, incrociati e incastrati come erano. Tuttavia, ci riuscì e, un attimo dopo, si ritrovò accanto a Kendor, che stava anche lui cercando di raggiungere il principe. Jamir pensava che fosse imbarazzato, ma invece quello sollevò le spalle e le sopracciglia, mostrando la sua rassegnazione alla natura del proprio comandante. Entrambi gli uomini gridarono, chiedendo al principe se stesse bene.

Il principe ringhiò: “Certo che sto bene. Perché non dovrei?”

Jamir dovette trattenere una risata mentre guardava Kendor scuotere la testa. Kendor disse: “Mio Principe, vi prego, state indietro. Strapperemo la tela da questo lato.”

Un attimo dopo, il principe uscì dalle macerie, seguito dai due ufficiali. Uscirono davanti agli sguardi degli uomini perplessi, che si erano armati, temendo che qualcosa o qualcuno stesse attaccando il principe.

Un soldato chiese: “Signor Comandante, state bene?”

Toras si fermò un secondo ma non rispose. Guardò semplicemente l’uomo digrignando i denti, irritato dal fatto che il soldato gli avesse fatto la stessa domanda sulla sua condizione. Il soldato fece un passo indietro, mormorando le sue scuse.

Toras riprese la sua marcia indiavolata e si diresse verso la scuderia per recuperare Brucio e prepararlo alla partenza.

“Brucio, vieni qui!”

Toras vide Brucio sollevare la testa dal retro della scuderia, ma il furano non fece alcuna mossa per avvicinarsi. Toras chiamò, o meglio urlò, di nuovo il suo nome e questa volta Brucio rispose con un lieve ringhio mentre scuoteva la testa in segno di rifiuto.

Toras stava per urlare di nuovo, quando si rese conto di quello che stava succedendo e si disse: “Giusto. Di certo non sei tu a dover subire la mia collera. Anzi, sono sicuro che, se dipendesse da te, saremmo già a Galior.”

Toras lo chiamò di nuovo, ma il furano si rifiutò ancora di avvicinarsi, finché il principe non si rese conto che doveva respirare profondamente, calmarsi e scusarsi. Il furano accettò le scuse con uno gnaulio indispettito, ma alla fine si avvicinò al padrone, che lo portò fuori dalla scuderia per sellarlo.

In prossimità della tenda che era crollata, i soldati si erano radunati intorno ai loro capitani. Coloro che non conoscevano il Signore Comandante si chiesero se quell’uomo fosse impazzito. Ma gli uomini di Toras si resero conto che quello sarebbe stato “semplicemente” un altro di quei giorni, o meglio, un’altra di quelle notti. Grom chiese a un soldato alto e robusto vicino a lui se il principe avesse forse perso la testa.

Il soldato rispose con onestà: “No, solo non gli va di lasciare che i suoi uomini affrontino il pericolo senza di lui.”

Kendor, dal canto suo, poteva capire quello che stava passando per la mente del principe, così come poteva prevedere quello che sarebbe successo dopo. Quindi, aspettò con i soldati e rassicurò coloro che avevano bisogno di rassicurazioni – specialmente i membri della Guardia Reale. Non ci volle molto prima che l’ordine del principe attraversasse il campo: “Primus Kendor, Secundus Jamir, preparate gli uomini. Andremo tutti a Galior! E non voglio sentire nessuna discussione o lamentela!” Poi, rivolgendosi a Tamas, che era venuto a cercarlo, disse: “Sergente! Per favore manda un messaggero ad est che trovi mio fratello e che lo informarmi su quanto sta succedendo qui. La carovana sarà già da qualche parte sulla Strada Capitale.”

E fu così che il Signore Comandante Toras e la sua compagnia intrapresero una fatidica deviazione verso Galior.

 

[1] ‘Scudo solare’ si riferisce alle membrane di copertura o ai meccanismi chimici che gli animali che non potevano nascondersi dal sole a mezzogiorno utilizzavano sui loro corpi per proteggersi.

[2] Gusciola: Piccola creatura invertebrata con un sottile guscio sulla schiena.

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