Siccome la traduzione di Forebodings (il cui titolo italiano non è ancora deciso ma potrebbe essere Presentimenti o Cattivi Presagi) non sarà completata da Paolo Pilati (il mio traduttore) per parecchi mesi, ho pensato di postare qui i primi sei capitoli, uno per settimana. Per aiutarvi con il gran numero di personaggi, ho creato un diagramma (si trova anche sulla pagine del mio sito chiamata “Conquistatori di K’Tara”) che mostra chi sono i personaggi principali e in che modo sono connessi.
Il primo capitolo, di nome “Bollhorae,” introduce Toras, figlio del Gran Re Octavius, il suo furan, di nome Scorch ( “ch” pronunciato come la “c” in “voce” ma senza la “e” finale), come anche un aspetto molto importante dell’ambiente k’tarano.
Spero troverete questi capitoli accattivanti. E, se fosse il caso, o avete delle domande riguardo a certe parole, lasciatemi pure un commento in basso.
L.A. Di Paolo
I LE BOLLHORAE
Le improvvise urla di Toras spezzarono la calma piatta del mezzogiorno. La sua pelle stava venendo straziata e ustionata dai raggi spietati dei soli gemelli, ai quali non importava né dell’identità della loro vittima, né del motivo per cui Toras giacesse disteso mentre loro s’apprestavano a raggiungere lo zenit del loro viaggio quotidiano attraverso il cielo di K’Tara.
Eppure non era quello il giorno in cui il giovane umano avrebbe permesso ai soli di consumare la sua carne. Nonostante urlasse di dolore, con il cuore a mille per il panico, la mente offuscata dal caldo e le gambe ancora vacillanti, Toras si alzò e corse verso il bosco più veloce che poteva.
Provò un immediato senso di sollievo quando la boscaglia lo avvolse con un’aria fresca e umida. Guardò il suo corpo e scosse la testa quando si vide la pelle coperta di sangue secco e sporcizia intorno alle numerose e fresche vesciche sugli arti. Si accorse inoltre di avere anche delle ferite sul viso che pulsavano. Capì che, se non avesse lavato e medicato le ferite in fretta, in quell’ambiente fresco e umido si sarebbero sicuramente infettate, e in quel momento non aveva le energie per combattere un’infezione.
Toras avrebbe dovuto sapere che dormire all’aperto non era una buona idea, si rimproverò per questo. Ma la stanchezza degli ultimi giorni lo aveva infine sopraffatto e, una volta atterrato nel mezzo di quella radura la notte precedente, si era subito buttato a terra per poi cadere in un sonno profondo, pensando di svegliarsi prima che i soli raggiungessero il loro apice. Purtroppo per lui, ciò non accadde; i soli avevano cominciato a fare il loro lavoro e la tempesta, che sempre li seguiva, già si intravedeva avvicinarsi rapidamente in lontananza.
Toras gemette quando la sensazione di freschezza lo abbandonò e il dolore riemerse con rinnovato vigore. Scosse la testa e disse a voce alta: “Devo pulire e fasciare tutto… e in fretta. ”
In risposta a un’improvvisa presa di coscienza, esclamò: “Dov’è Scorch? Scorch!”
Una decina di metri dietro di lui, una forma raggomitolata allungò bruscamente la testa. Quando Toras gridò ancora il suo nome, la maestosa creatura si alzò sui quattro arti muscolosi e distese le ali carnose, cacciando uno stridio colmo di apprensione, per poi lanciarsi con passo sempre più rapido incontro al padrone.
Quando Toras vide l’animale, esclamò felice: “Scorch! Per un momento ho pensato che mi avessi abbandonato.”
Scorch emise dei boati brevi e tremanti che accompagnavano il furioso battito delle ali posteriori contro quelle anteriori. Poi si allontanò, offeso dalle insinuazioni del suo padrone.
Toras disse, tra un gemito e l’altro: “Suvvia, Scorch! Mi serve la sella… che ti ho lasciato addosso ieri notte. Mi spiace tanto, davvero.”
Scorch, questa volta, emise uno stridio dal tono accusatorio, ma infine si avvicinò al padrone per fargli prendere la sella. Toras ringraziò l’animale con una carezza sul becco liscio e crestato, grato di avere un compagno così leale. Di fatto, Scorch era il suo più fedele amico e lo trasportava senza mai lamentarsi attraverso campi e vette, o chilometri interminabili di acque mortali, giorno e notte, in tempo di pace come in tempo di guerra. L’intensità del legame tra il furano e il principe dipendeva forse dal fatto che fossero letteralmente cresciuti fianco a fianco, più che dal servizio fornito dal furano al suo padrone, o dal cibo che quest’ultimo gli offriva per contraccambiare.
Sbarazzatosi della sella, Scorch inarcò il dorso ed emise uno strano lamento. Proprio allora, le ferite di Toras bruciarono nuovamente, sino a farlo gridare. Scorch si girò verso il padrone con lo sguardo preoccupato.
Toras disse: “ Devo assolutamente prendermi cura di queste ferite, Scorch… il che significa che, innanzitutto, devo lavarmi.”
Proseguì: “Se non erro, AquilaquaP è a circa trecento metri a ovest da qui, attraverso il bosco.”
Scorch annuì muovendo su e giù la testa come faceva sempre. Toras lo guardò, chiedendosi se fosse giusto risellarlo. Anche se avrebbe preferito farlo, decise di accollarsi il fardello. Dopotutto, se si trovavano in quella situazione, era interamente colpa sua. Così, raccolse la sella, fece cenno a Scorch di seguirlo e si mise in marcia.
Dieci minuti e qualche imprecazione più tardi, Toras e Scorch si ritrovarono a camminare su una spiaggia di ciottoli. Dinanzi a loro, un torrente gorgogliava e sollevava schizzi, riversandosi fra le pietre e le falesie. Toras notò una pozza ampia e placida, non troppo distante dalle rapide, che sembrava il posto giusto per lavarsi. Si incamminò a passo svelto in quella direzione, impaziente di poter finalmente pulire e curare le sue ferite, e di farlo prima che la tempesta si scatenasse. Dopo aver appoggiato la sella su una grossa pietra asciutta, si spogliò, lanciando i vestiti sporchi e macchiati di sangue sulla riva, e si tuffò. Il Principe nuotò fino a una secca, dove riemerse e cominciò a sfregare con delicatezza le ferite fresche, gemendo di tanto in tanto, mentre strofinava per rimuovere la sporcizia e il sangue secco.
Toras sobbalzò disgustato quando notò le macchie incrostate di un cruore verdastro: era il sangue delle creature ripugnanti che li avevano attaccati la scorsa notte. Il ricordo dei Grugni – così aveva deciso di chiamarli – lo travolse all’improvviso e lo fece rabbrividire. Al solo pensiero di quei cosi – gli esseri più vili e grotteschi che avesse mai affrontato – riviveva in lui una paura che lo metteva fortemente a disagio, così scrollò la testa nel tentativo di dissiparne il ricordo. Lo stratagemma funzionò, anche se per poco, poiché mentre la sostanza aliena si ammorbidiva lavandosi via, un odore acre invase le sue narici riportando a galla il ricordo delle creature immonde che decimavano i suoi uomini.
Toras ringhiò e iniziò a sfregare più forte e più velocemente, gemendo ogniqualvolta sfiorasse una vescica. Infine, quando l’acqua aveva pulito tutte le impurità, diluendole fino a farle sparire, la mente di Toras ritrovò un po’ di calma e lui si voltò, lasciandosi galleggiare, in modo che la freschezza dell’acqua desse sollievo ai suoi muscoli affaticati. Ma, mentre se ne stava con lo sguardo rivolto al cielo, vide una nuvola scura che anticipava la tempesta proiettare delle strane ombre tra i rami degli alberi, le quali – in combinazione con un inaspettato, innocuo stridio di Scorch – gli riportarono alla mente ricordi ancor più agghiaccianti di una creatura impensabile che aveva incontrato tempo addietro, una temibile creatura ancestrale conosciuta come la Serpe, nonostante ai più sembrasse un comune rokon di dimensioni abnormi. Era stato l’incontro con quella creatura a dare inizio al suo viaggio fatale. Il ricordo dei versi atroci della Serpe riecheggiò attraverso le ossa e i muscoli di Toras proprio mentre il fiume si gonfiava di onde minacciose, causando nel principe una momentanea sensazione di panico e facendolo quasi soffocare quando gli finì dell’acqua nel naso.
Preoccupato per il padrone, Scorch stava per gettarsi in acqua, ma Toras lo fermò con un grido mentre ritornava a nuoto. Fortunatamente, la riva era a pochi metri di distanza, e nonostante l’intensità della corrente stesse aumentando, Toras ne uscì sano e salvo.
Quando uscì dall’acqua, Scorch gli si avvicinò e lo colpì dolcemente con il becco – i suoi occhi scuri, un’altra volta, sembravano allarmati.
“Ho rivissuto dei ricordi spiacevoli quando tu…” Toras stava per incolpare il furano per quello che era successo, ma si arrestò e disse: “Quando l’acqua mi ha portato via, e per un momento sono andato nel panico. Ma grazie per la premura. ”
Il furano rispose con un profondo gnaulio e annuì, comprendendo dal tono e dalle parole del padrone che lui stava bene, seppure fosse di cattivo umore.
“Penso che dovremmo cercare un posto sicuro dove aspettare la fine della tempesta. Vieni Scorch.”
Toras si precipitò a prendere la bisaccia, si infilò dei vestiti puliti, ripose quelli sporchi, sussultò nel caricarsi la sella sulla spalla e poi corse nella foresta, con Scorch al suo seguito.
Dopo qualche minuto, trovò un grosso masso che formava una sorta di grotta dove si misero al riparo, proprio mentre i venti di tempesta che imperversavano sempre con violenza, quando le Bollhorae giungevano al termine, strapparono un ramo da un albero lì vicino. Fortunatamente per Toras e Scorch, le Bollhorae, quel giorno, non erano micidiali come lo sarebbero state nei giorni a seguire, nel prossimo Quarto di Bollhora.
Toras fece del suo meglio per asciugarsi e medicare le ferite, anche se il vento e la polvere complicarono le cose. Mentre stava applicando l’ultima benda, scosse la testa e disse: “Dannatamente stupido, ecco cosa sono. Morire là fuori sarebbe stata la mia giusta fine, incenerito dai soli, dopo che tutti quegli uomini hanno perso la vita a causa mia in quest’ultimo quarto!”
Toras passò del tempo a ripensare a tutto quello che era accaduto nell’ultimo periodo. Dopo mezz’ora, quando i venti si calmarono, sentì il suo stomaco lamentarsi. Ma lui e Scorch dovevano riprendere il viaggio, dunque non ebbero altra scelta che saziarsi con larve secche almeno fino al loro arrivo a destinazione.
Il principe si stava recando presso Furania, capitale di Alvinoria, per ricongiungersi con il fratello maggiore e il padre, e gli mancavano ancora circa venti ore di viaggio. Quindici giorni prima, in seguito allo scontro con la Serpe, lui e trenta dei guardiani suoi e di suo fratello avevano lasciato la fortezza del Passo del Corno per volare verso sud alla ricerca del Gran Re, il quale era sparito. Toras aveva ritrovato suo padre, ma la maggior parte degli uomini che lo avevano seguito erano morti. Di fatto, il giorno dopo aver lasciato la fortezza, il principe perse i primi dieci uomini, quando cambiarono strada per andare a difendere gli abitanti di un villaggio dallo stesso rokon, o Serpe, o qualsiasi cosa fosse ad aver attaccato la fortezza. Poco dopo, in seguito a una sua decisione – una pessima decisione, che ancora gli annodava lo stomaco quando ci ripensava – ne perse altri nove. E sulla via del ritorno, dopo il ritrovamento del padre, altri quattro uomini morirono per mano degli ignobili Grugni. Furono solo tre i sopravvissuti, oltre a Toras.
Il re procedeva in sicurezza verso Furania, o almeno così sperava Toras. Quando i Grugni li attaccarono, Toras implorò il padre di volare verso la capitale, promettendo che l’avrebbe raggiunto non appena lui e i suoi uomini si fossero sbarazzati di quegli esseri immondi. Il re aveva dapprima opposto resistenza a una richiesta così offensiva, ma rimanere sarebbe stata una follia, poiché non era equipaggiato per combattere e in più la compagnia stava subendo l’assalto da parte di un nemico sconosciuto che aveva già ucciso un uomo, oltre alla metà delle loro cavalcature. Così, seppure con estrema riluttanza, il re accettò di ritirarsi.
Oltre al dolore che la perdita di così tanti uomini arrecava a Toras, l’altrettanto significativa perdita di furani lo irritava e amareggiava; loro non avevano chiesto di essere lì, né di morire in quell’agonia incomprensibile. Eppure, la morte li aveva reclamati, così come aveva fatto con la maggior parte degli uomini suoi e di suo fratello.
Il principe non riusciva proprio a capire cosa stesse succedendo. Non aveva mai visto quelle creature e ne aveva sentito parlare soltanto nelle storie che la gente era solita raccontare intorno ai falò. Tutti quanti si ponevano le stesse domande: Da dove arrivano questi esseri? Perché sono qui? Un rokon che non era un rokon e che la Sorellanza chiamava “la Serpe”, e creature oscene per le quali i guardiani neanche avevano un nome, almeno finché Toras non gliene aveva dato uno. Ciò aveva scioccato il principe fino al midollo, una sensazione che raramente aveva provato. Solo quella volta che era caduto da Scorch, a dieci anni, aveva provato così tanta paura. Domande su domande accatastate l’una sull’altra e senza risposta alcuna.
Nella compagnia maledetta di Toras gli unici sopravvissuti erano uno degli uomini del fratello, nonché il suo primusP e uno dei suoi guardiani. Tuttavia, poiché i loro furani erano morti, e in ogni caso non erano in condizione di viaggiare, Toras era stato costretto a lasciarli indietro presso l’estremità meridionale delle Cime dei Colossi, due mattine prima. Il Primus Kendor aveva una ferita infetta sul petto, sulla quale Toras applicò gran parte dell’unguento che gli aveva donato una Lux BaiulaP, sperando che ciò aiutasse l’ufficiale a guarire più rapidamente. Seppure il principe non avesse alcuna certezza che la medicina della donna fosse stata concepita per curare ferite di questo tipo. Per quanto riguardava gli altri due uomini, questi avevano diverse ferite profonde e la febbre alta; Toras e Kendor avevano fatto del loro meglio per ricucire e cauterizzare i tagli. Quanto al principe stesso, il suo braccio destro era stato graffiato dall’artiglio di un Grugno. Tuttavia, e fortunatamente per lui, il taglio era superficiale e – in quanto mezzosangue – era stato in grado di neutralizzare il veleno.
Dopo aver ingoiato l’ultimo mucchietto di larve secche, Toras si alzò e preparò Scorch per la partenza. Intanto, si domandava se gli uomini fossero ancora vivi; sperava che lo fossero. Anzi, pregava che lo fossero, nonostante il suo agnosticismo. Dopo aver controllato un’ultima volta le cinghie e averle trovate ben serrate, Toras saltò sul dorso di Scorch, e senza alcun segnale, il furano decollò. Il vento era piacevole sulla pelle di Toras. Gemeva ancora di tanto in tanto, ma il dolore era diventato sopportabile. Mancavano almeno venti ore, due giorni al massimo, o forse meno – dipendeva tutto da Scorch.